Imprenditore agricolo e fallimento

La figura dell’imprenditore agricolo é esclusa dal fallimento a prescindere dalle dimensioni con riferimento ad una nozione di carattere qualitativo.
L’art.1 l.f. Infatti parla espressi svergina di assoggettabilità al fallimento della imprese commerciali, ergo con esclusione della imprese agricole.
Del resto la stessa tecnica legislativa impone la rilevanza delle dimensioni dell’impresa (carattere quantitativo) escludendo dal fallimento solo l’imprenditore commerciale che sia impossesso dei requisiti (di tutti i requisiti) di cui al come secondo.
Ciò detto attesa la specificità della attività agricola caratterizzata dalla stagionalità della produzione, dalla deperibilità delle merci, ridotta elasticità dei mercati di vendita, è opportuno delineare criteri e limiti di detta esenzione.
Premesso che la riforma del 2001 nel rimodellare il dettato normativa dell’art 2135 ( a cui si rimanda) cc ha allargato la nozione di imprenditore agricolo estendendo la anche ad attività non strettamente connesse con la coltivazione del fondo va da sè che appare opportuno trovare un minimo comune denominatore che tracci una linea certa fra ciò che è assoggettabile al fallimento e ciò che non lo è.
Un primo orientamento giurisprudenziale ravvisava nello sfruttamento del suolo l’indefettibile requisito rilevatore della natura agricola dell’attività esercitata (Cass Civ 17251 del 2002 Cass Civ 10577 del 1995) . Tale carattere consiste nel rapporto di complementarietà, subordinazione ed inerenza funzionale con la coltivazione del fondo agricolo, nell’utilizzazione della naturale produttività del suolo ravvisabile quando il bene terra entra in combinazione con la forza lavoro.
Altro orientamento giurisprudenziale (anche di merito) invece valorizzava il discrimen fra imprenditore commerciale e imprenditore agricolo nel ciclo biologico ossia nel processo di trasformazione delle risorse primarie in cui il fondo assumeva il ruolo di semplice sede dell’attività produttiva.
Tutto questo accedeva prima della novella, per il che vedendo la normativa del 2001 ad incidere profondamente sulle caratteristiche dell’imprenditore agricolo che assume una veste senza dubbio rinnovata.
A tal proposito già nel 2002 (sentenza n.17251) il Giudice nomofilattico aveva statuto che ciò che conta in sostanza è che il prodotto oggetto dell’attività dell’impresa agricola possa essere ottenuto utilizzando anche solo in astratto il fondo, anche se in concreto esso venga realizzato fuori da esso.
In definitiva la dilatazione della nozione di imprenditore agricolo con la modifica dell’art. 2135 c.c. (ad opera del Dlgs n. 228/2001 e, si veda anche il Dlgs n. 226/2001 relativo all’imprenditore ittico), ha finito per eliminare, o comunque, attenuare fortemente, il confine, mai del tutto certo, tra le categorie dell’imprenditore agricolo e quello commerciale; tanto che per Cass. 10/12/2010, n. 24995, avendo la nuova normativa introdotto nella nozione di impresa agricola anche attività che non richiedono una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del fondo, essendo sufficiente a tale scopo il semplice collegamento potenziale o strumentale con il terreno invece che reale come richiesto nella nozione giuridica ante vigente, “ai fini dell’assoggettamento a procedura concorsuale, tenuto altresì conto che l’art. 2135 c.c. non è stato inciso da alcuna delle riforme delle procedure concorsuali, l’accertamento della qualità d’impresa commerciale non può essere tratto esclusivamente da parametri di natura quantitativa, non più compatibili con la nuova formulazione della norma”. (Nella fattispecie, infatti, la Corte ha cassato la pronuncia di secondo grado che aveva ritenuto sussistente la qualità d’impresa commerciale e la conseguente fallibilità di un’azienda agricola sulla base della dimensione dell’impresa, della complessità dell’organizzazione, della consistenza degli investimenti e dell’ampiezza del volume d’affari).
Le motivazioni della corte “Non sembra dubbio che la sostituzione di una disciplina che prevedeva un collegamento reale della produzione con il fondo, in una prospettiva di strumentalita’ di quest’ultimo rispetto all’attività imprenditoriale, con altra che viceversa contempla un collegamento anche soltanto virtuale o potenziale con il terreno, possa determinare nell’interprete incertezze in sede applicativa, per effetto dell’ampiezza e della genericità della previsione.
Analogamente non sembra dubbio che la nozione di imprenditore agricolo desumibile dall’innovazione normativa in esame sia decisamente più ampia rispetto al passato, essendo sufficiente, al fine di legittimarne la configurazione, che il suo intervento nell’ambito del processo produttivo sia limitato ad un’attivita’ di controllo dell’esistenza delle condizioni necessarie per la verificazione di un esito riconducibile all’andamento in se’ del ciclo biologico. Non sembra infine dubbio che tale maggiore ampiezza, proprio in quanto riconducibile a criteri diversi da quelli rispetto ai quali era stata riconosciuta la specialita’ dell’impresa agricola, puo’ legittimare riserve (peraltro specificamente sollevate da parte della dottrina) in ordine all’affermata assoggettabilità al fallimento del solo imprenditore commerciale (L. Fall., art. 1). Tuttavia i recenti interventi del legislatore aventi ad oggetto la disciplina delle procedure concorsuali (L. n. 80 del 2005, L. n. 5 del 2006, L. n. 169 del 2007) non hanno operato sul punto alcuna modifica, sicche’ nella specie un giudizio in ordine all’esistenza o meno dei presupposti indicati dall’art. 2135 c.c. rileva ai fini della decisione sulla fallibilità dell’imprenditore insolvente.” Tuttavia modernizzando la nozione di imprenditore agricolo rende più sottile il discrimine con l’imprenditore commerciale quasi auspicando una riforma nel senso della fallibilità anche dell’imprenditore agricolo se supportato da certe caratteristiche.
In definitiva in alcune attività di trasformazione border line agricole possono fregiarsi dell’esenzione dal fallimento solo in quanto non possiamo considerarsi commerciali.
Quindi è come se il legislatore avesse dal punto di vista ontologico tripartito le categoria di imprese le commerciali soggette al fallimento, le agricole tradizionali che ne sono esenti, e quelle agricole in quanto non assoggettabili alle commerciali per cui si auspica una riforma in termini di fallibilità.
In questo quadro è stata inserita un’altra rilevante novità con il D.L. del 6.7.2011 n. 98, il cui art. 23, comma 43, così recita: “In attesa di una revisione complessiva della disciplina dell’imprenditore agricolo in crisi e del coordinamento delle disposizioni in materia, gli imprenditori agricoli in stato di crisi o di insolvenza possono accedere alle procedure di cui agli articoli 182-bis e 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, come modificato da ultimo dall’articolo 32, commi 5 e 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2”.
Ossia l’imprenditore agricolo, che non è fallibile e, di conseguenza non può accedere neanche al concordato, può utilizzare oggi la procedura di ristrutturazione dei debiti e servirsi della transazione fiscale.